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Tariffe doganali e produzione globale: davvero riportano l’occupazione a casa?

Un contributo del Prof. Bruce Kline, docente di Finanza ed Economia nei programmi MBA ed Executive CIMBA

Nel dibattito economico attuale, le tariffe doganali (i dazi) sono tornate al centro dell’attenzione come possibile strumento per “proteggere” il lavoro domestico e rilanciare la manifattura nazionale. Ma quanto è realmente efficace questa strategia in un’economia globalizzata e interconnessa?

Il Professor Bruce Kline, con una carriera trentennale in Hewlett-Packard e oggi docente nei programmi MBA ed Executive di CIMBA, ci offre uno sguardo critico sulle dinamiche economiche e occupazionali legate alle tariffe, partendo da un esempio concreto: l’alluminio.

Oggi sappiamo con certezza che una tariffa è, di fatto, una tassa regressiva a carico del consumatore nazionale. Storicamente, le barriere doganali hanno portato a una riduzione dell’efficienza produttiva e dell’output globale. Ma resta ancora diffusa l’idea che le tariffe possano “riportare a casa” i posti di lavoro.

Per comprenderne la reale efficacia, è fondamentale guardare alle catene di approvvigionamento. Prendiamo l’alluminio: materiale chiave per numerosi settori, dalle automobili alle lattine. Gli Stati Uniti ne importano la maggior parte – soprattutto dal Canada – e ne producono solo una piccola quota.

Il Canada, grazie all’accesso alle riserve di bauxite e alla disponibilità di energia elettrica a basso costo, riesce a produrre alluminio in modo molto più competitivo rispetto agli Stati Uniti. Introdurre una tariffa del 25% sulle importazioni, come accaduto negli anni recenti, non cambia questa realtà strutturale: gli Stati Uniti continuerebbero a importare la materia prima – bauxite – e dovrebbero processarla con costi energetici più alti, generando alluminio non competitivo nel mercato globale.

Investire in nuovi impianti negli Stati Uniti comporterebbe rischi enormi e rendimenti sostenibili solo se le tariffe fossero mantenute nel tempo. Ma è difficile immaginare che un’industria nasca o si rilanci su basi così fragili. Più realisticamente, le aziende già esistenti aumenterebbero i prezzi per restare redditizie, ma senza necessariamente aumentare la produzione o creare occupazione.

Il rischio? Che la produzione si sposti altrove. Se le componenti chiave, come l’alluminio, diventano più care a causa delle tariffe, la produzione di beni complessi – ad esempio le automobili – risulta meno competitiva sul suolo americano. Le aziende valuteranno quindi di spostare la produzione dove il costo della catena di fornitura resta più sostenibile.

In conclusione, come sottolinea il Prof. Kline, mentre potremo senz’altro ascoltare singole storie di “rientro dell’occupazione”, un’analisi più approfondita delle tariffe nel contesto economico attuale ci invita ad essere scettici. Le tariffe generalizzate difficilmente porteranno un beneficio diffuso in termini di occupazione e competitività.

Professor Bruce Kline, University of Colorado, is an Experienced Finance and Economics Instructor with a demonstrated work history in higher education.

Experienced delivery in the classroom, as well as online, for both CIMBA MBA and Executive Programs. Almost a decade of experience teaching abroad – from visiting instruction at foreign institutions to leading self-designed MBA programs.
Concurrent 30-year finance career at Hewlett-Packard Company, culminating in WW tax and supply chain strategy and forecasting for the now-existing HP, Inc.

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