Interview

CIMBA MBA, intervista a Claudio Scardovi

Abbiamo parlato con Claudio Scardovi, Ceo di HOPE S.p.A., il fondo privato che ha l’obiettivo di rilanciare il nostro Paese, ed ex studente CIMBA classe MBA del 1994. Ci ha parlato del suo ultimo libro SUISTANAIBLE CITIES, di quello che rappresenta per lui la sostenibilità e delle smart cities, ma soprattutto ci ha raccontato della sua esperienza in CIMBA che ricorda con entusiasmo.

  • Cosa è la sostenibilità secondo Claudio Scardovi?

La sostenibilità è un modo di essere, è il realizzare in coscienza che siamo parte di un ecosistema, di un qualcosa di più grande, che trascende sia il tempo (e.g. ci dobbiamo preoccupare di chi verrà dopo di noi, le nostre future generazioni) che lo spazio (e.g. cosa facciamo qui oggi in Italia ha conseguenze già domani in Paesi molto lontani dal nostro). Sostenibilità è il realizzare che gli interessi meramente personali e privati, per quanto giustamente perseguiti, lo devono essere in un contesto più esteso e “meta” – che supera, reincorporandoli, i nostri fini- per realizzare anche quelli dei molti altri portatori d’interesse, della comunità a cui apparteniamo.

La sostenibilità supera il trade off anacronistico tra fare bene e il perseguire il Bene, tra gli interessi privati e quelli pubblici, tra shareholders e stakeholders. L’esistere sostenibilmente è poi certamente molto importante, ma deve seguire come espressione naturale e spontanea dell’essere in coscienza sostenibile. Non ci deve essere un cartello che ci ricorda che non si deve lasciare spazzatura su una spiaggia, o bruciare plastica in un bosco. Non ci deve essere una regola che ci ricorda che aumentare artificialmente il valore di un’azienda tagliando i costi a breve e riempiendola di debiti (col rischio che fallisca qualche anno dopo) per venderla al massimo prezzo possibile non rappresenta un modo di creare valore economico vero. Non ci deve essere infine un partito politico che ci dice che se l’1% della popolazione mondiale possiede il 50% delle ricchezze e una larghissima parte di questa vive sotto la soglia di povertà, forse c’è qualcosa che non va nel sistema allocativo e redistributivo complessivo. Non serve uno scienziato per indignarsi rispetto alla non-sostenibilità di alcuni comportamenti.

Di sostenibilità oggi in molti si riempiono la bocca, ma alla fine il senso è piuttosto semplice: essere persone migliori, nei confronti degli altri, delle generazioni future e di se stessi, prendendo coscienza che siamo parte di un mondo che vorremmo perduri ed evolva oltre la nostra vita, migliorandosi.

  • Nel suo libro Sustainable Cities si riferisce al concetto di smart-cities in modo critico, dicendo che i sistemi digitali possono, sì, contribuire al progresso umano, ma che è vero anche il contrario e cioè che il comportamento umano nella vita reale può supportare l’ottimizzazione e lo sviluppo di cervelli virtuali. È la rivincita dell’uomo sulla macchina?

Lo sviluppo e l’innovazione tecnologica offrono opportunità incredibili e per molti versi senza precedenti, costituendo armi molto importanti per superare le enormi contraddizioni del nostro vivere e del nostro modello di evoluzione, che ha mostrato per molti versi la sua insostenibilità – finanziaria, sociale ed ecologica. Ma sono uno strumento, non un fine.

La stessa AI (intelligenza artificiale) di cui si parla molto e di cui molti temono il momento di singolarità (il momento in cui un’intelligenza assolutamente generale e superiore potrà prendere controllo dell’umanità intera, rendendola schiava delle macchine che è riuscita a produrre) deve essere un’arma, un’estensione delle nostre capacità cognitive, ma sempre guidata dal nostro essere e dalla nostra coscienza dello stesso. Una reinterpretazione dell’innovazione tecnologica, digitale in primis, in chiave umanistica sta alla base del reale progresso e della ricerca della sostenibilità. In questo senso, nel mio libro “sustainable cities”, propongo un’estensione del concetto di smart cities (città ipertecnologiche e digitali) in chiave umanista: al servizio dei cittadini che la abitano, dei loro bisogni e delle loro aspirazioni e sempre nel rispetto degli obiettivi di inclusività e ecosostenibilità di città che, oltre ad essere efficienti, produttive, digitali e verdi devono anche essere “umane” – pensate per la donna e per l’uomo e non per le auto di oggi o I robot di domani.

Sono le donne e gli uomini che devono informare e guidare I servizi e le utilità che vorremmo tutti ricevere dalle Big data Platform e dagli algoritmi di AI e non viceversa. Il che oggi non è sempre ovvio.

  • Lei ha frequentato la classe MBA del 1994. Che ricordo le è rimasto di CIMBA? C’è una parola chiave/un valore/un insegnamento imparato durante l’esperienza in CIMBA che applica quotidianamente nella vita privata e nella sua professione?

Ogni percorso, personale e professionale, è fatto di molti piccoli passi e di pietre miliari raggiunte e superate. Il mio ricordo della classe del 1994 è legato sia ai piccoli passi che alle pietre miliari. Potrei citare tra questi, banalmente, l’apprendimento non scolastico dell’inglese, l’avvicinamento al mondo del business professionale, la classe internazionale con studenti da oltre 40 Paesi, l’esperienza a Pordenone e quella a Clemson, la progressiva fiducia che possiamo fare molto, anche lontano da casa, anche solo con I nostri soli mezzi – quella ispirata da Al Ringleb e dal suo immancabile ottimismo da “self made man” americano (ma con un cuore almeno in parte italiano).

Dovendo scegliere, ricordo tuttavia ancora con piacere l’esame di “self development”, a cui tutti siamo stati chiamati allora, dandoci obiettivi di crescita ed evoluzione a nostra scelta, per poi misurarci nel tempo e assegnarci un voto, come se noi fossimo I maestri di noi stessi e con l’obiettivo semplice ma anche alquanto ambizioso di divenire “persone migliori”. Dal 1994 ho continuato, ogni singolo anno, ad assegnarmi obiettivi di “self development” alquanto misti ed eterogenei, non troppo irrealistici da essere mere chimere e non troppo facili da essere poco stimolanti.

Ad ogni fine anno ho continuato da allora ad essere maestro severo di me stesso, avendo capito che l’importante è certamente il risultato oggettivo, assoluto e relativo, ma anche il senso della traiettoria e la consolazione, anche quando va male, di averci dedicato tutte le mie forze.

Claudio and some of his class mates in Venice, 1994.
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